mardi 5 février 2013

vendredi 12 novembre 2010

Il mare, la roccia, un buco

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Bobby Sand

Una persona che dovrebbe servire da esempio a tutti quelli che predicano bene e razzolano male in questo mondo di abbuffini!
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mardi 2 novembre 2010

La novella di Martellino


Explication de texte Novella II, 1 DECAMERON

La novella che farà l’oggetto del nostro studio è la prima della seconda giornata del Decameron, giornata “nella quale si ragiona di chi da diverse cose è infestato sia oltre sua speranza riuscito a lieto fine”. In questa giornata sono contenute le novelle che la fortuna ha voluto si terminassero a lieto fine. Ma chiediamoci fin da adesso se è soltanto la fortuna a procurare/produrre/permettere il lieto fine, o ci sia altro.

La giornata è governata da Filomena e la narrazione di questa novella spetta a Neifile. Il luogo in cui è ambientata è Treviso. L’azione si svolge in vari posti della città...

I personaggi principali di questa sono il beato Arrigo; tre fiorentini: Martellino, Stecchi e Marchese, e Sandro Agolanti, uomo influente presso il podesta della città trevigiana.

Per riassumere brevemente la novella, ricordiamo che in quel di Treviso, Arrigo, non appena morto è santificato in merito al fatto che è stato “uomo di santissima vita” e al prodigioso suono delle campane “senza essere da alcuno tirate”. Nella città veneta giungono tre uomini ignari dell’evento. Si tratta di Martellino, Stecchi e Marchesi, i quali per recarsi nella chiesa e vedere anche loro il corpo dell’uomo appena fatto santo, seguono l’idea di Martellino, che si finge storpio per farsi largo fra l’enorme folla che occupa la piazza e la chiesa dove si trova il Santo. Questo stratagemma funziona, senonché Martellino, una volta in chiesa dopo aver toccato il santo e ricevuto la miracolosa guarigione viene smascherato da un suo compaesano. Così, viene imprigionato, torturato e rischia l’impiccagione. Riesce tuttavia a salvarsi, grazie all’intervento, all’intercessione presso il podestà da parte di un uomo influente, Sandro Agolanti. Martellino la scampa oltre le sue speranze. Ma affinché ciò avvenga è necessario l’ingegno dei suoi colleghi e una sua strategia dialettica tanto improvvisata quanto ragionata.

Il protocollo di lettura, ovvero l’intepretazione di questa novella, ci è suggerito d’acchito da Neifile nell’introduzione della novella stessa. Essa consiste nella costatazione sulle conseguenze di un certo tipo di comportamento umano: la beffa, beffarsi degli altri, e in particolare quanto torni dannoso come un boomerang beffarsi delle cose che “massimamente sono da riverire” la cui conseguenza è quella di ritrovarsi beffati col “danno di sé solo”. Detto in altri termini: chi la fa l’aspetti.

Riassumendo, Neifile si rivolge alle “carissime donne” proponendo loro un racconto che ha vocazione di apologo, di parabola istruttiva, e di divertimento (infatti la novella successiva si apre con l’evocazione delle risa donnesche suscitate dal racconto di Niefile) conformemente al precetto espresso nelle ultime frasi del proemio in cui è utile ricordare che Boccaccio si augura che “le donne che leggeranno [le novelle] parimenti diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pigliare”.

Ma al di là del valore pedagogico ed umoristico del racconto, ci interessa comprendere com esi esplicita il lieto fine. Attraverso quali strategie letterarie e narrative Boccaccio riesce a mettere in scena una situazione che vede Martellino in qualche modo giustamente prossimo alla condanna finale per poi togliersi d’impaccio, quasi inaspettatamente. In altri termini, ci interessa enucleare come avviene lo scioglimento, cioè il perdono ottenuto da Martellino, grazie all’intervento di Sandro Agolanti presso il signore di Treviso.

Ora interessiamoci alla struttura della novella e proviamo a dividerla nei suoi differenti momenti narrativi seguendo uno schema semplificato ispirato al modello di Vladimir Propp.

Essa si compone di :

· un’introduzione

· un antefatto (la santificazione di Arrigo)

· una trasformazione del normale svolgimento dei fatti (la venuta dei tre toscani)

· le peripezie di Martellino (la metamorfosi, lo smascheramento ed il conseguente rischio di impiccagione)

· lo scioglimento finale (il perdono ottenuto)

Ritornando all’introduzione, limitiamoci a sottolineare la sua esemplarità rispetto all’opera intera laddove la cornice dà voce a personaggi narranti che fungono da cuscinetto fra la voce dello scrittore e l’orecchio o l’occhio del lettore, personaggi che risultano di fatto “ figure ideali, manifestamente non individui, e rappresentano la tardo-medioevale alta borghesia fiorentina ideali”[1].

Possiamo aggiungere, volendo, che nella strategia narrativa è visibile una sorta di captatio benevolentiae adottata da Niefile nei confronti del lettore che si traduce nel superlativo assoluto “carissime” davanti al sostantivo donne. Un altro momento in cui la strategia narrativa cerca di attirare l’attenzione del lettore è decifrabile nell’aggettivo possessivo “nostro” che precede il sostantivo “cittadino”. In questo caso il sintagma nominale ha una funzione emotiva e precede un verbo chiave nella novella e in senso lato, in tutta la giornata, se non in tutta l’opera. Si tratta del verbo “avven[ire]”. Questo verbo ci rimanda alla nozione di eventualità, di fatto non preveduto e di rimando alla nozione di caso. Si dice infatti “avvenne per caso”[2] . Questo verbo chiude un lungo periodo che presenta l’opposizione fra i due avverbi di modo “sventuratamente” e “felicemente” il passaggio di situazione scandita dagli avverbi “prima” e “poi”. Ma possiamo accontentarci di delegare all’espressione “avvenne per caso” del buon Tommaseo l’intera responsabilità degli “avvenimenti” della novella? È questo l’oggetto del nostro studio.

Passiamo in rivista ora quello che abbiamo definito l’antefatto. Boccaccio trova pretesto letterario nelle agiografie abbastanza a lui contemporanee, infatti leggiamo “non è ancora lungo tempo passato”, quella di Santo Arrigo, definito nel testo tedesco. (Un piccolo aparté: Branca ci informa che Santo Arrigo era di Bolzano. Ora, la Lega Nord che cerca credenziali letterarie nelle sue aspirazioni secessioniste, dovrebbe lusingarsi di trovare un clin d’oeil letterario da parte del Boccaccio, che definisce tedesco, e contestualizzando a ragion veduta, un uomo nato in Bolzano).

L’antefatto è legato alla leggenda secondo cui Arrigo, di mestiere facchino (o boscaiolo), considerato da tutti “uomo di santissima vita”, morto che fu, le campane della maggiore chiesa di Treviso cominciarono a suonare senza che nessuno le avesse tirate.

Leggiamo “o vero o non vero che fosse i trevigiani affermano”, vediamo che la narrazione si limita ad esporre i fatti così come sono riportati leggendariamente. Questa frase, che interviene come un inciso, se da una parte rimanda ad una sorta di relativismo della credenza mitica dall’altra affida alla leggenda, se non altro, il merito di essere successa, avvenuta. In altri termini, la frase illustra con semplicità come la nascita di una leggenda, pur non essendo dato sapere se è legata ad avvenimenti veramente accaduti o meno, innesca purtuttavia delle dinamiche che oltrepassano quei presunti avvenimenti e diventano di dimensioni trascendentali e trasfiguranti. Nella fattispecie il suono delle campane innesca una trans collettiva. Una processione di invalidi in cerca del miracolo guaritivo. Nell’esagerazione della messa in scena non è da escludere una sogghignante volontà di ritrarre la creduloneria popolare non di rado alimentata dal mondo religioso. E appunto la religiosità è l’oggetto centrale dell’antefatto, che è strettamente collegato all’introduzione, in cui avevamo letto una frase annunciatoria. Infatti nella sentenza di Neifile è scritto “massimamente quelle cose che sono da riverire”. Trattasi indubbiamente delle cose sacre di cui ora il campo lessicale inizia ad abbondare. Troviamo le seguenti espressioni: Arrigo era uomo di santissima vita, le campane della maggiore chiesa di Trivigi cominciarono a sonare, miracolo, santo.

La morte di Arrigo provoca un’accellerazione dell’azione, che diventa quasi vertiginosa. Il prodigio delle campane che suonano senza essere da alcuno tirate stabilisce, di fatto, la santificazione di Arrigo. Una santificazione per acclamazione popolare, oseremmo dire. Un popolo preso in una vorticosa trans mistica, che si riversa nella casa del morto in adorazione, una santificazione immediata nella quale sono istantaneamente riposte le speranze di guarigione di “attratti, ciechi, zoppi e altri di qualunque infermità o difetto impediti” quasi dovessero tutti risanare. Come dicevamo prima, ci troviamo di fronte ad una grottesca processione di infermi, la cui lista diventa parossistica nel sintagma nominale “qualunque infermità” che cerca e, beninteso, trova l’ effetto comico.

A questo punto si è pronti alla messa in scena dell’elemento destabilizzatore, la parte che abbiamo chiamato la mutazione dei fatti. Entrano in scena, infatti, in quest’ atmosfera vertiginosa sancita dalla frase “in tanto tumulto e discorrimento”, i tre personaggi che danno una svolta all’azione .

Ci pare opportuno rimarcare che nella frase “avvenne che in Trevigi giunsero tre nostri cittadini” ritroviamo il sintagma nominale “nostri cittadini” già presente nell’introduzione e di nuovo il verbo avvenire.

Ora, stabilita la messa in scena dei personaggi, occorre che l’azione proceda e perché proceda ecco la genialità di Boccaccio che è quella di affidare ai personaggi la voglia di recarsi, anche loro, a vedere il corpo del Santo. E questa voglia non è gratuita, ma del tutto giustificata nella frase “li quali, non essendo stati giammai, vedendo correre ogni uomo, si maravigliarono [...]”. È probabilmente nella meraviglia che risiede per dirlo in termini giuridici il movente di quello che diverrà poi il sacrilegio di Martellino. Inizialmente, pur trattandosi di uomini avvezzi al “contraffarsi”, quindi imbroglioni, millantatori, è questo sentimento di meraviglia che fa nascere in loro il desiderio “di andare a vedere il Santo”, e la meraviglia esula dalla dimensione sacra o pseudosacra della processione presso il santo e attiene piuttosto a quella di curiosità di fronte al “tumulto e discorrimento”.

Tuttavia ormai si delinea intrinsecamente il disegno sacrilego dei tre nuovi arrivati, e lo si nota per converso nella scrittura della parola santo per la prima volta in maiuscolo. È un cambiamento significativo di stato: tanto più è alto il valore dell’oggetto da desacralizzare tanto disvalore assume l’atto sacrilego. In potenza, quello che avverrà è annunciato da questo semplice cambiamento tipografico. Il valore del Santo è inversamente proporzionale al gesto che i tre commettono per vederlo e in seguito offenderlo (Martellino).

Il desiderio di vedere il santo, innescato dalla meraviglia, si traduce segnatamente nella rappresentazione dei sensi. Uno dei tre personaggi, il Marchese pronuncia le parole “vedere, vedo, ho inteso, romore, la chiesa è piena di gente”. Troviamo i diversi sensi in azione: la vista, l’udito e il tatto. Il corpo è messo in gioco quasi fosse specularmente attratto da quello del santo, irraggiungibile ai loro sensi desiderosi, per meraviglia, di entrarci in contatto.

Ed è a questo punto che Martellino ha, per utilizzare un cliché letterario, la brillante idea di fingersi storpio. Egli lo immagina e all’istante lo dichiara ai suoi amici in modo semplice e convincente, tanto è vero che agevolmente ottiene il consenso dei due amici “piacque il modo a Marchese e Stecchi”.

Dalle parole ai fatti: “senza alcun indugio” , quindi senza alcuna remora o timore della giustizia divina si concretizza il disegno di Martellino.

Quello a cui assistiamo è la concretizzazione dello stratagemma ideato da Martellino per farsi spazio fra la folla e giungere fino in chiesa. Essa avviene tramite una repentina quanto “fiera”, ovvero spaventosa, orrenda trasformazione di Martellino, o meglio metamorfosi. Questa deformazione sembra richiamare una metamorfosi in un essere spaventoso che riguarda tutte le parti del corpo, a cominciare dalle estremità (le dita, le braccia, le mani, le gambe) fino al viso, giungendo ad essere “fiera cosa da vedere”. Questa descrizione ci fa pensare a quella che in retorica è chiamata l’ipotiposi, ovverossia, la descrizione di un personaggio con reale vivacità e ricchezza di particolari (in questo caso la lista degli attribbuti storti da Martellino), descrizione che segue una linea di crescendo culminante nel sintagma nominale “fiera cosa”, ove fiera puo’ essere interpretato nella sua accezione di spaventoso, orribile e animalesco. Una trasformazione volutamente orrenda che gli apre la strada verso il desiderio di avvicinarsi al santo. Essa visione, ha il suo effetto fra la gente che lo lascia passare insieme ai suoi necessari portantini, perché per quanto mostruoso possa sembrare Martellino, si dirige verso il santo sperando in un tocco sanatorio. Egli è storpio fra gli storpi, e la sua trasformazione lo erge quasi a nunzio della processione di invalidi in fila per il miracolo.

E una volta a contatto col santo il miracolo avviene. Avviene per Martellino, che crea una situazione di suspense presso gli altri miracolandi...Ottenuta infatti “l’attenzione di tutta la gente” “stato alquanto” si distende poco alla volta...Assistiamo al fenomeno inverso al quale avevamo assistito nella fase della contorsione. La frase risulta lenta, quasi imitatrice del ritmo del contraffattore Martellino “che ottimamente far lo sapeva”...Si crea grazie a questa frase un’imitazione degli effetti cercati da Martellino nella sua simulazione di grazia ricevuta. Seguiti splendidamente dal giubilo degli increduli astanti alla visione in diretta del miracolo avvenuto. Questa frase è riconducibile alla creduloneria di cui sopra.

Ma a questo punto avviene un colpo di scena. Gli infingimenti di Martellino vengono smascherati da un suo compaesano che lo riconosce e nell’esclamare la sua rabbia e il suo stupore rende nota alla folla la beffa di Martellino.

Dobbiamo soffermarci sull’espressione avverbiale contenuta nella messa in scena del fiorentino smascheratore di Martellino. Egli era “per avventura” vicino al luogo dove Martellino aveva dato il suo spettacolo. Per avventura, si legge per caso. Il caso, lo abbiamo incontrato già due volte. La prima volta nell’introduzione, la seconda ha portato Martellino e i suoi amici in una città dove era appena avvenuto un prodigio scatenando la loro curiosità e quindi la loro beffa, ma allo stesso tempo il caso li ha fatti smascherare. Sappiamo che in questa giornata le storie si concludono a lieto fine; la domanda che ci nasce in questo momento spontanea è questa: sarà ancora il caso a risolvere l’impasse nella quale Martellino si trova?

Lo smascheramento di Martellino scatena inevitabilmente l’ira della folla che inizia un vero e proprio linciaggio .

Martellino si trova in una situazione di estremo pericolo, che certo, è stato egli stesso a provocare. Esaminiamo quali comportamenti adottano lui e i suoi compagni per tentare di cavarsela.

Martellino tenta spontaneamente di proteggersi dalle percosse della calca e invoca il perdono in nome di Dio, leggiamo infatti “mercé per Dio”. Ma tutto ciò sembra vano, leggiamo infatti “ma ciò era niente”, cosicché gli stessi suoi compagni capiscono che l’unico modo per aiutarlo non è quello di intervenire contro la folla, anzi tale scelta metterebbe loro stessi in pericolo di vita . E la loro tattica consiste nel confondersi con la folla inveendo contro il loro amico e chiedendone la morte. Poi i due escogitano un modo per “trarre [Martellino] dalle mani del popolo”.

L “argomento”, la trovata di Marchese, è una soluzione che attiene all’estemporaneità, all’improvvisazione, alla capacità di reagire in un momento di sommo pericolo “il quale fermamente l’avrebbe ucciso”. E il carattere estemporaneo della trovata di Marchese è messo in evidenza grazie agli avverbi “subitamente”, e “come più tosto poté”, che, appunto, la dicono lunga sulla rapidità di reazione del trio. Una soluzione tanto estemporanea quanto, per il momento efficace: far passare Martellino per un ladrone, un “tagliaborse” e toglierlo dalle mani della folla.

Si delinea quindi un lieto fine non unicamente dovuto al caso. Ma all’intervento umano nel suo carattere estemporaneo, abile a reagire rapidamente di fronte ad una situazione di pericolo.

Alla rapidità di reazione di Marchese segue quella della legge che “subitamente” interviene, e molto faticosamente, riesce a togliere Martellino dalle rabbiose mani della gente per condurlo al palazzo del podestà. Notiamo a questo punto un cambiamento direzionale di una parte della folla, leggiamo infatti, che “molti seguitolo” lo accusano di aver subito anche loro un furto da parte di Martellino. Il loro scopo è quello di procurargli “la mala ventura”, mala sorte, avverso destino.

Vediamo che il giudice “prestamente” lo esamina. L’avverbio ci rimanda di nuovo alla velocità dell’azione e all’urgenza alla quale è confrontata il nostro eroe (o antieroe?).

Tuttavia, il comportamento di Martellino è in un primo momento quasi sprezzante della cattura e dei rischi che da essa conseguono, infatti la sua prima strategia dialettica è quella del motteggio.

Subita la tortura, viceversa, assistiamo ad un cambiamento di strategia dialettica, già annunciata dalla congiunzione avverbiale “ma poi che egli fu in terra posto”. Martellino utilizza la sua intelligenza alla quale aggiunge modi carezzevoli per scongiurare l’impiccagione (leggiamo il vocativo “Signor mio”).

Si tratta di un discorso non preparato, pronunciato nell’urgenza, ma che dimostra scaltrezza e abilità oratoria. Un discorso che ottiene un primo placet del giudice “questo mi piace” il quale ascolta la rischiesta di Martellino di far esprimere coloro che erano venuti per procurargli “la mala ventura”.

Le accuse che essi muovono contro Martellino, questi può dimostrarne l’infondatezza. Il suo discorso comincia di nuovo col vocativo “Signor mio” che cerca di produrre una reazione emotiva nel suo interlocutore; esso è inoltre scandito nella prima parte dalla contrapposizione fra la menzogna dei suoi accusatori “essi mentono” e la verità che egli sta pronunciando “io dica il vero”. Verità che può dimostrare perché provata dal registro delle presentazioni nella città.

Nel suo discorso, Martellino se da una parte respinge le accuse di ladro, ammette di aver commesso l’atto sacrilego motivandolo come “sua disavventura”, per sua cattiva sorte, relegando alla cattiva fortuna la causa del suo cattivo comportamento. L’intelligenza di Martellino consiste nel respingere le accuse con argomenti inconfutabili, ammettendo di aver avuto un cattivo comportamento nei confronti del “corpo santo”, cosa avvenuta per la cattiva sorte e quindi di cui non è interamente responsabile, ma per la quale fa intendere essere già stato, in qualche modo, punito “dove io sono stato pettinato come voi potete vedere”.

L’autodifesa di Martellino si rivelerà sufficiente? Intanto Stecchi e Marchesi vengono a sapere (le fughe di notizie dai tribunali si verificavano già allora...)che per Martellino le cose si stanno mettendo male e considerano il loro piano essersi rivelato controproducente. Leggiamo l’espressione equilvalente a quella tuttora utilizzata “cadere dalla padella alla brace”. Essi non si rassegnano al caso, allo svolgersi degli eventi senza colpo ferire. Anzi, così come precendemente avevano agito con solerzia, ora vediamo che reagiscono “con ogni sollecitudine”. Trovano il loro oste e gli raccontano del guaio capitato al loro amico. A questo punto vediamo che quella che è una situazione che sfiora il tragico (l’interrogatorio a Martellino, la tortura e la minaccia di impiccagione), provoca ilarità presso gli uditori. Infatti l’oste reagisce “ridendo”. Ma è un riso benevolo perché questi presenta loro l’altolocato Agolanti, uomo influente presso il signore di Treviso. A sua volta, il racconto delle disavventure di Martellino, provoca “molte risa” in Agolanti. Ma lo animano ad aiutare colui che è in predicato di farsi impiccare, e infatti interviene presso il signore, ottenendone la liberazione, malgrado la volontà del giudice, che “era disposto a volerlo fare impiccare”. Notiamo che la locuzione avverbiale “per avventura”, si riferisce all’avversione del giudice nei confronti dei fiorentini. Ricapitolando, per caso avviene che Martellino e i suoi amici si trovano a Treviso il giorno della morte di Arrigo e della sua conseguente beatificazione. Per caso Martellino viene smascherato da un suo compaesano che si trova nello stesso posto in cui lui ha cercato di beffarsi del santo e della gente. Grazie all’intervento dei suoi amici, si trova ad essere giudicato da un giudice che, per caso, è avverso ai fiorentini e che è quindi è deciso a farlo impiccare. Senonché un ulteriore intervento dei suoi amici gli permettono di ottenere la liberazione. È un continuo andirivieni fra gli accadimenti casuali e la capacità di Martellino e dei suoi amici di schivarne le eventuali nefaste conseguenze.

Quando Martellino è infine davanti al signore che gli ha concesso la grazia, forse egli ha percepito che la sua disavventura oltre alla rabbia della folla possa suscitare ilarità in chi la ascolta. E al riso dell’oste, seguito da quello di Agolanti, si aggiungono “le grandissime risa” del signore che ascolta “ogni cosa per ordine detta” da parte di Martellino, discorso conclusosi con la battuta finale “che infino che in Firenze non fosse sempre gli parrebbe il capestro avere nella gola”. Il lieto fine va al di là delle aspettative dei tre uomini che se hanno provocato la cattiva sorte sono stati abili a scongiurarne le eventuali nefaste conseguenze.



[1] Aspetti cortesi ed utopistici nei personaggi della cornice del Decameron di Giovanni Boccaccio di Kirsten Grubb Jensen

[2] Nuovo dizionario dei sinonimi italiani di Niccolò Tommaseo

samedi 23 octobre 2010

Vittorio Gassman legge il canto di Ulisse

a Vittorio Gassman

Oggi il mio pensiero va al Mattatore, a un vero e proprio momumento della cultura italiano del secolo appena trascorso (dico appena, ma iniziano pian piano ad allontanarci dal '900). Il Mattatore, appunto, che ha saputo descrivere un'Italia nobile di spirito e pratica di ingegno. Un vero esempio di professionalità. Mi godo questa chicca: il canto di Ulisse...